Ecco la storia di Inga Verbeeck che ha aperto un’agenzia matrimoniale per ricchi e celeb.
Non sapevo nemmeno cosa fosse un’agenzia matrimoniale, quando avevo i pattini ai piedi e un bel costume da Pippi Calzelunghe già indosso. Ero quasi pronta, la gara di pattinaggio su ghiaccio stava per iniziare e fremevo per l’impazienza. Mancava solo di legare i capelli in due codini, ma rovistando nella borsa, gli elastici che avevo preparato non volevano saltar fuori. Li avevo dimenticati a casa! Ma prima di andare avanti, mi presento. Mi chiamo Inga Verbeeck e se racconto questo episodio apparentemente trascurabile della mia infanzia è perché ha innescato la reazione a catena del mio destino. Un attimo prima che scoppiassi in lacrime, infatti, ecco spuntare il mio papà che tira fuori dalla tasca due pezzetti di fil di ferro con cui lego i capelli in due codini di fortuna. La gara è salva.
Ma se papà aveva in tasca quei due fili non era un caso. Anni prima,partendo da zero pieno di speranze, aveva avviato un’acciaieria che stava andando sempre meglio, e di pezzi di ferro se ne ritrovava sempre qualcuno in tasca. Oggi non ricordo più come finì la mia gara, ma ricordo che mentre volteggiavo sui pattini, piena di gratitudine per quella materia forte e lucente di cui mio padre custodiva i segreti, ho giurato entusiasta: un giorno lavorerò insieme a lui. Da allora sono passati un po’ di anni e tanta acqua sotto i ponti, e se oggi si parla di me nel jet-set internazionale è perché mi occupo di un altro “materiale”. Più romantico dell’acciaio, ma molto più tosto: l’amore. Ma ripartiamo da allora. I miei riccioli biondi e gli occhi azzurri ingannavano tutti. Invece sono quanto di più lontano da una bambolina. Sono cresciuta ad Anversa con tre fratelli maschi più grandi di me, e per non essere da meno giocavo con loro a calcio e a pallavolo negli spiazzi dove mi coprivo di graffi e lividi. Niente giocattoli da bimbetta, giusto la Barbie un paio di volte: del resto, i miei fratelli già si prendevano gioco di me perché ero una ragazza fra ragazzi. Arrivata all’adolescenza sembravo un vero maschiaccio, forgiata come l’acciaio di cui si parlava sempre in casa. Intanto, però, sognavo molto. Immaginavo segretamente l’incontro col principe azzurro, in quel modo confuso e sdolcinato in cui lo sogniamo tutte, prima di mettere a fuoco ciò che conta davvero in un rapporto sentimentale.
A quel tempo persino il mio migliore amico era un maschio ed è stato lui a darmi il primo, vero dispiacere della vita. No, non si tratta di un flirt finito male: un attacco di cuore lo ha stroncato a sedici anni e io mi sono sentita persa. Ho capito che se gli adulti ripetevano sempre a noi ragazzi che la vita è un bene prezioso, non era poi così scontato. Quell’esperienza mi ha cambiata, mi ha reso più sensibile, e a 18 anni mi sono messa a girare il mondo. Scattavo foto, scrivevo reportage e pur essendo solo una ragazzina collaboravo con molte riviste. Ma la promessa di lavorare con mio padre non l’avevo dimenticata. Dopo un anno torno a casa, mi rimbocco le maniche e lascio tutti di stucco. Imparo a manovrare il carrello elevatore meglio di un magazziniere, ci provo gusto a incastrare la merce nei container in partenza. La sera frequento l’università, imparo strategie commerciali e finanziarie, spedizioni e logistica. Una marcia forzata. A 29 anni divento amministratore delegato dell’impresa. E i miei fratelli non mi prendono più in giro.
Intanto arriva l’amore. Almeno così sembra(va). L’ho incontrato, in vacanza, sulle banchine di Cape Town. Era un marinaio appena sbarcato dopo trenta giorni di navigazione, ed è stato un tale colpo di fulmine che poco dopo l’ho raggiunto in Australia. Ci siamo sposati e siamo stati bene insieme per undici anni, ma non era lui l’uomo della mia vita. Di sicuro, si è rivelato un vero amico che non mi pento di aver sposato. Dalla nostra unione è nato Ryan, che ora ha dieci anni ed è il figlio più fantastico che si possa desiderare. Arriva il 2010, l’anno del cambio di rotta. La mia famiglia decide di vendere l’acciaieria. In casa Verbeeck viene annunciato ufficialmente il “liberi tutti”. Il capitolo si chiude con un po’ di malinconia, anche se, lo ammetto, cominciavo a desiderare nuove esperienze. Così mi ritiro in un periodo di riflessione sul mio futuro, e faccio un frullato cerebrale di idee. Poi premo il tasto “stop” e i pensieri si riassestano e formano la bozza della nuova Inga. Mi sono ricordata che quando andavo a scuola le mie materie preferite erano lingue e psicologia. Nel tempo libero divoravo pile di saggi di divulgazione sul comportamento umano e dopo sperimentavo quel che avevo appreso sulla gente (inconsapevole). Osservavo le reazioni degli altri, le loro alchimie relazionali. Ho aggiunto a quello studio anche l’esperienza del mio divorzio, durante il quale avevo riflettuto su quanto siamo vulnerabili mentre consegniamo il nostro cuore in mano a un altro. Come potevo unire tutto questo con la passione per i viaggi, il business administration e – perché no – anche la bravura nell’incastrare merci come le tessere di un puzzle? Incastrare tessere… Proprio quel concetto continuava a girarmi in testa. Poi si è accesa la scintilla.
Invito per un caffè la mia amica Mairead Molloy e concordiamo che tutti questi elementi si potevano conciliare in un modo solo: aiutare persone che cercano il partner giusto ma non hanno tempo per baciare tutti i rospi, fino a trovare quello che si trasforma nel principe o nella principessa. È nata così la Ivy International, la prima agenzia matrimoniale per professionisti. Ci diamo da fare per farla decollare e scopriamo presto di aver visto giusto. Il business del «matchmaking» è in forte espansione, oltre le nostre previsioni. In poco tempo abbiamo aperto sedi a Londra, Parigi, Cannes, Amsterdam, Ginevra, Melbourne, New York e anche Milano. Non avrei mai creduto che ci fossero così tanti manager in cerca di aiuto sentimentale! Noi, però, abbiamo anche qualcosa che ci distingue. Io cerco di conoscere a fondo i cuori solitari che si presentano alla nostra porta, invece di inserire freddamente foto e dati nei cataloghi da mostrare al potenziale partner. Solo quando ho colto in pieno la personalità di chi ho di fronte – magari qualche giorno dopo – fisso il primo rendez-vous. È come se degli amici comuni combinassero l’appuntamento al buio con «qualcuno che è perfetto per te!». Il risultato? Su dieci dei nostri clienti, etero o gay (che sono moltissimi), otto convolano a nozze. E ne vado fiera.
Mi è bastato poco per capire che nessuna attività mi avrebbe regalato più soddisfazione del far innamorare le persone. Finisco per appassionarmi alle storie, aspetto con curiosità gli esiti della prima uscita per ascoltare la versione di ognuno dei due, e mi diverto quando mi riportano i dettagli in modo completamente diverso. E poi ci sono quelli che vogliono sposare quella determinata celebrità e chiedono di combinargli il tête-à-tête. A dire il vero, fra i miei clienti di star ce ne sono molte (non posso dire quali). Ma se la richiesta non riguarda nessuna di loro la valuto lo stesso, e se ritengo che ci siano speranze, ci provo.
Se qualcuno si sta già precipitando su Google a digitare il nome della Ivy International, c’è prima qualcosa che dovrebbe sapere. La condizione principale per rivolgersi a noi è un reddito molto alto. E questo vale per entrambi i candidati. Abbiamo deciso così dall’inizio, perché non ci interessa mettere in contatto i cacciatori di dote con le loro prede. Niente “sugar daddy”, niente “cougar». E poi, ora che anch’io ho trovato l’amore, questa per me è diventata una missione. Perché se le persone che contano, quelle che influenzano l’andamento della società, sono sempre felici e innamorate, poi funziona meglio tutto il resto del mondo. Ci avevate mai pensato?